Settegiorni, su Voce settimanale del 3 dicembre

Non vediamo l'ora di assistere al concerto di Paolo Belli in piazza Martiri: per gustare il piacere di sonorità tra il blues e il soul che hanno sempre accompagnato la carriera dell'artista. E anche per veder infranto il luogo comune del “nessuno profeta in patria” di cui abbiamo riprove tutti i giorni, con l'eccezione di chi in patria ritorna sì, ma dopo essersi coperto di gloria fuori. Quanto allo show, sempre suo, ospitato la stessa serata di Capodanno al Comunale, possiamo sommessamente insinuare, da bravi boomer pronti a prenderle di sopra e di sotto dai millennial, che avremmo preferito le note di una grande orchestra sinfonica? Ed esserne sommersi con una profluvie di valzer viennesi e musiche verdiane che accompagnano da sempre l'arrivo dell'anno nuovo? La frenesia innovativa l'avevano già accontentata con il Babbo Natale di Walt Disney atterrato in elicottero sul Castello: perché non lasciarci invecchiare con un tocco di tradizione?  

 

A proposito di invecchiare. Si leggono con un certo stupore le testimonianze sul punto vaccinale che rimbalzano tra i media (alcuni) e i social (quasi tutti): e le file lunghe; e l'attesa al freddo; e gli orari non rispettati; e la disorganizzazione; e la scortesia; e gli anziani messi lì ad aspettare... (e magari qualcuno si presenta senza aver compilato il questionario, il che permetterebbe di sveltire le procedure). C'è come l'aspettativa impaziente, nervosa quanto inconscia che, messa da parte l'emergenza, tutto debba funzionare, senza mai un intoppo, in perfetta linearità e conformemente al nostro poco tempo. Poi guardi le presunte, principali vittime dell'attesa, gli anziani infagottati, alcuni in sedia a rotelle, che stanno lì, pazienti, tranquilli e silenziosi ad attendere il proprio turno: loro sì che le hanno conosciute, emergenza e scomodità, e sanno che non si vive mai nel migliore dei mondi possibili.