Allarme conti pubblici. Rubrica Soldi nostri su Voce del 21 febbraio 2019

Istituzioni finanziarie internazionali, agenzie di rating, Banca d’Italia, Corte dei Conti sono unanimi nel valutare negativamente l’andamento dei conti pubblici. Solo il ministro Tria ostenta ottimismo, ma con argomentazioni assai preoccupanti. Sostiene infatti, candidamente, il Nostro che la garanzia sul debito pubblico italiano è data dallo stock elevato del risparmio privato. Come dire: investitori esteri non preoccupatevi, in caso di bisogno sappiamo dove andare a prendere i soldi (ovvero: nelle tasche dei risparmiatori). Affermazioni come  questa hanno avuto il merito di resuscitare la mummia di Berlusconi che, più pimpante che mai, occupa da giorni gli schermi televisivi tuonando contro le intenzioni dei grillini (molto peggio dei comunisti, a suo dire) e sventolando il loro programma originario che prevedeva  una pesante patrimoniale e imposte di successione con aliquote da esproprio. Peraltro l’alternativa, come ben sappiamo, consiste nell’aumento dell’Iva previsto dalle clausole di salvaguardia a garanzia delle spese del governo prive di copertura (quota 100 e reddito di  cittadinanza, essenzialmente, con una coda degli 80 euro renziani). Ipotesi, questa, assai più probabile poiché l’imposizione verrebbe spalmata su una platea più ampia e non si correrebbe il rischio di una fuga precipitosa di capitali dall’Italia (non degli stranieri, ma degli stessi Italiani, come accadde a suo tempo in Argentina e in Grecia). I nodi verranno al pettine tra l’estate e l’autunno. Subito dopo le elezioni europee è atteso il giudizio definitivo delle istituzioni dell’Unione sulla manovra finanziaria. Che già sappiamo essere completamente sballata: lo era in origine, figuriamoci ora che siamo in recessione conclamata. A settembre dovrebbero arrivare i verdetti delle agenzie di rating e questo dovrebbe spaventare più delle sanzioni dell’Unione europea: i titoli del debito pubblico italiano sono a un passo dal livello “spazzatura”; una ulteriore discesa del rating obbligherebbe i fondi di investimento a sbarazzarsene, il che darebbe origine a un effetto domino con pesanti ripercussioni sui prezzi e conseguente aumento dei volumi di vendita.  

 

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