Cento domeniche

Il film di Antonio Albanese, Cento domeniche, in programmazione nelle sale nel periodo natalizio, ravviva la memoria del crack delle banche venete, non dissimile da quello di altri istituti bancari di medie dimensioni operanti in Emilia-Romagna (Ferrara), in Toscana (Siena, Arezzo), nelle Marche e in Puglia (Bari). Ben 350mila risparmiatori hanno visto svanire i loro soldi investiti in azioni e obbligazioni delle banche cosiddette “risolte”. A un crack precedente (Parmalat, 2003) era invece ispirato il film Il gioiellino, del 2011, ma numerosi furono i casi di risparmio tradito, basti ricordare Olivetti, Cirio, Giacomelli, Gandalf e almeno un’altra dozzina di imprese fallite in quel periodo, per non parlare dei default dell’Argentina (2001) e della Grecia (2009). Per inciso, ora in Argentina governa un tale che pare la brutta copia di un personaggio interpretato da Albanese, Cetto La Qualunque: appena insediato alla Casa Rosada il peso è stato svalutato del 50 per cento. Ma anche sulle crisi, e gli imbrogli, di Wall Street la filmografia abbonda, a partire, per restare solo ai più recenti, da un classico del 1987, Wall Street, di Oliver Stone, magistralmente interpretato da Michael Douglas, attore protagonista anche di Wall Street. Il denaro non dorme mai, del 2010, sempre per la regia di Oliver Stone, per finire con The Wolf of Wall Street, del 2013, diretto e prodotto da Martin Scorsese e interpretato da Leonardo di Caprio. Tutti film che definirei “pedagogici” perché evidenziano a un largo pubblico i rischi che si corrono quando la fiducia è mal riposta. (segue)

Tuttavia, se dalle truffe o dalle offerte poco credibili è possibile difendersi grazie alla cautela e al senso critico, uniti a una sana diffidenza, la cosa è ardua quando i bilanci sono truccati. Il falso in bilancio, impossibile da accertarsi da parte del singolo investitore, richiama la responsabilità degli organi di controllo (società di revisione ma anche, e soprattutto, organismi pubblici, come la Consob) che, all’epoca dei fatti sopra ricordati, con una battuta ribattezzai “se c’ero, dormivo”. C’è da chiedersi: chi colpirà la prossima stangata? Ora sui mercati è tornata la fiducia, le borse brillano, i risparmiatori fanno la fila a comprare titoli del debito pubblico, ma proprio quando l’euforia è al massimo è il momento di porsi qualche domanda. La stretta monetaria ha contribuito a ridurre l’inflazione ma ha anche ridotto la liquidità in circolazione. Il rally delle borse si spiega, oltre che con l’aspettativa di una riduzione dei tassi di interesse, anche col fatto che gli investitori istituzionali erano “scarichi” di azioni, ma ora, in base a dati attendibili, avrebbero esaurito la possibilità di ulteriori investimenti. Secondo fonti autorevoli, attualmente in borsa acquisterebbero solo investitori retail (arrivati, come sempre, buoni ultimi a sfruttare il trend positivo). A ciò si aggiunga il fatto che l’anno prossimo i mercati obbligazionari avranno necessità di assorbire emissioni di titoli pubblici e corporate in una quantità mai vista prima e, grazie ai tassi d’interesse ancora discreti, buona parte degli investimenti si indirizzerà verso questo settore. Possibile dunque che dopo il rally di fine anno le borse arrestino la loro corsa anche se le importanti tornate elettorali previste in America e in Europa forse impediranno repentini crolli del mercato azionario. (segue)

Quanto ai titoli di stato, procede con successo il collocamento dei Btp ma il Tesoro il prossimo anno dovrà trovare sui mercati ben 480 miliardi (al netto dei titoli che saranno riacquistati dalla Bce) per rinnovare titoli in scadenza e per finanziare il deficit del bilancio. Non che sia messa meglio la Germania: il Bund tiene, ma la recessione e la “scoperta” di 800 miliardi di debiti fuori bilancio fanno sì che non sia più considerata un porto così sicuro per gli investimenti. La crisi di un colosso immobiliare operante tra Austria e Germania contribuisce al clima di incertezza (in Cina invece la crisi del settore immobiliare è ormai conclamata). L’America poi sprofonda nei debiti (al debito pubblico si sommano i debiti privati) e i vantaggi da sempre assicurati dal signoraggio del dollaro rischiano di svanire se davvero i Brics, cui si aggiungono decine di altri stati, decideranno di fare a meno del biglietto verde nei loro scambi commerciali. C’è da chiedersi pertanto a chi toccherà restare col cerino in mano, la prossima volta. Temo infatti che anche in futuro non mancheranno soggetti per altri film ispirati a disavventure finanziarie. Intanto cerchiamo di fare tesoro degli insegnamenti del passato seguendo, ad esempio, l’aurea regola della diversificazione. Se va male si può perdere una parte del capitale investito, l’importante è non ridursi in braghe di tela, come il povero protagonista del film Cento domeniche.