Chi va al mulino s’infarina, Soldi nostri del 29 agosto

Ricordate le intemerate grillesche contro la “casta”? In nome del “cambiamento” è stato chiesto lo scorso anno il voto degli Italiani. Cambiamento sì, ma in peggio. Non ricordo che la Prima e la cosiddetta Seconda Repubblica abbiano offerto uno spettacolo simile a quello cui abbiamo assistito in occasione di questa crisi di governo. Il potere logora evidentemente anche chi lo esercita, non solo chi non ce l’ha, secondo il celebre detto andreottiano, e l’attaccamento alla seggiola è immutabile sotto ogni regime. Realpolitik, si dirà, e certamente è così, ma la spettacolarizzazione delle giravolte non giova all’immagine degli attori sulla scena politica. Giravolte che ci sono sempre state, anche in passato, ma avvenivano con maggiore discrezione, in forme riservate. Mentre scrivo non conosco gli sviluppi della crisi politica che si chiuderà, credo, proprio nel momento in cui il giornale andrà in stampa. Non faccio pronostici, ma mi limito a riportare un passo di Giuseppe Pontiggia, grande scrittore e critico letterario, a dimostrazione che i problemi italici sono sempre gli stessi: “Aumentare le pensioni, diminuire il debito pubblico, difendere lo stato sociale, ridurre il carico fiscale, mantenere i diritti acquisiti, combattere la disoccupazione, incrementare il risparmio, incentivare i consumi. Che cosa è, una sciarada, un rebus, il gioco dei contrari? No, è un programma. Il sogno di ogni politico è far proprie le ragioni del concorrente e sostituirsi a lui. Non sono partiti (partes), sono totalità. La coabitazione coatta degli opposti, che nella retorica si chiamava ossimoro, è diventata la figura della convivenza ideologica. La politica in Italia è un problema linguistico. Fare i conti con le parole è meglio che fare i conti. Né tagli né tasse, intima al governo un ministro che ne fa parte. E come si raccoglie il denaro?”. 

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