Correlazioni sui mercati

Tralasciamo le rivelazioni dell’affaire “Panama Papers” (niente di veramente nuovo sotto il sole, salvo la “trasversalità” riscontrabile nel mondo dell’offshore) e le tragicomiche vicende della povera ragazza madre, ingannata e strumentalizzata dal bellimbusto di turno, inopinatamente collocata da Renzi al Ministero per lo Sviluppo economico (ah, le quote rosa!), e occupiamoci, piuttosto, dei fondamentali per cercare di capire gli strani movimenti dei mercati finanziari. 

Strani, perché di “normale” ormai non c’è più nulla. Tutto dipende infatti dalle dichiarazioni, e dalle mosse, delle banche centrali, la correlazione con l’economia reale è completamente saltata. All’inizio dell’anno ci si aspettava il rafforzamento del dollaro contro l’euro, dovuto alla migliore situazione economica degli Usa, ormai fuori dalla recessione, che lasciava presagire un sia pur graduale aumento dei tassi d’interesse in America. Pronostico che ha spaventato i mercati e provocato il forte ritracciamento delle borse. 

Prontamente la Fed, spaventata soprattutto dalle conseguenze del rafforzamento del dollaro per i mercati emergenti, in primis la Cina, ha innestato la retromarcia e ha rinviato l’aumento dei tassi sine die.  Il che ha provocato il deprezzamento del dollaro e il conseguente il rimbalzo dell’euro e dello yen. Risultato?  Tenuta della borsa di Wall Street, vicina ai massimi, e nuovo crollo delle borse europee e del Nikkei. La politica dei tassi negativi applicata dalle banche centrali europea e giapponese, ha provocato anche la corsa ai titoli di stato (il cui riacquisto è peraltro garantito dalla Bce) con apprezzamento del Bund e schiacciamento dei rendimenti e riflessi sull’intero mercato obbligazionario. Non riusciamo a immaginare come banche e assicurazioni possano fare i bilanci e garantire le obbligazioni assunte nei confronti dei loro clienti, con i tassi a zero o negativi, ma finora questo è il mantra recitato dai mercati finanziari internazionali. Non si riesce a uscire dalla trappola della liquidità che da anni inchioda l’economia giapponese e nella quale sono cadute anche le altre banche centrali del mondo occidentale. 

Difficile fare pronostici: non ci sono precedenti nella storia. Possiamo solo prendere atto di ciò che accade, analizzando la fenomenologia di questo nuovo sistema economico, artificioso, che ormai ha perso le caratteristiche dell’economia classica e del capitalismo, come storicamente lo abbiamo conosciuto (se non ricordo male, nemmeno Marx ha mai considerato l’ipotesi di tassi d’interesse negativi che sono, oggettivamente, un non senso). 

Al di là di momentanei rimbalzi, tipici dei momenti di alta volatilità, il settore del credito soffre da tempo, e non solo da noi. Basti pensare che le azioni del Credit Suisse, dallo scorso anno, hanno perso oltre il 40 per cento (e così pure Deutsche Bank e altre grandi banche europee). Le perdite delle banche italiane sono tutte a due cifre: Intesa, meno 27, Unicredit 42, Mediobanca 29, Bpm 42, Bper 43, Banco Popolare 63, Mps 61 (ma, sul biennio, oltre il 93 per cento, ovvero quasi l’intero capitale sociale), Credito Valtellinese 52, Credito Emiliano, la migliore, “solo” il 18 (fonte: Il Sole- 24 Ore). Il raffronto con le banche europee è interessante poiché consente di vedere le problematiche da un’ottica non provinciale. Si ha l’impressione che i nodi della crisi vengano al pettine ora e che nonostante i salvataggi di stato attuati da molti governi europei ci sia ancora molta polvere sotto il tappeto. 

In sintesi: le nostre banche, pur con tutti i problemi che sappiamo, in fin dei conti non hanno fatto peggio delle consorelle. Forse anche grazie al fatto che gli Italiani sono un popolo di formichine risparmiatrici (tendenza confermata nonostante la crisi economica abbia pesato sui redditi). Ora il governo è stato costretto a rivedere al ribasso le previsioni di crescita del Pil, a causa della battuta d’arresto nella crescita. Aspettiamoci dunque nuove stangate (aumento dell’Iva? Riduzione delle detrazioni?) per far quadrare i conti. 

Di tagliare la spesa non si parla mai, anzi si inventano ogni giorno nuove occasioni di spesa (bonus vari, ospitalità agli immigrati, profughi o clandestini che siano, e via discorrendo) quando ancora manca la copertura (rinviata di anno in anno) degli 80 euro elargiti da Renzi alla vigilia delle elezioni europee. Si potrebbe cominciare, come sostengono autorevoli economisti liberal, eliminando il ministero della Guidi, che si occupava di elargire fondi alle imprese (vi lascio immaginare con quali criteri).

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