Tranquilli, a differenza del secolo scorso, quando fu l’Italia a subire sanzioni dalla comunità internazionale per l’invasione dell’Etiopia, questa volta il caffè non verrà a mancare e non dovrà essere sostituito dal surrogato a base di cicoria, nel tempo della nuova autarchia. Infatti a seguito delle sanzioni che stavolta ci siamo auto inflitti, verranno a mancare solo il gas, il grano e forse anche la benzina. Quisquilie, beni notoriamente voluttuari. Ai Russi invece verranno a mancare beni davvero essenziali: gli abiti firmati, i gioielli di Tiffany, le schifezze dei McDonald’s, gli yacht e le vacanze, in Sardegna e in Toscana, insomma una vera rovina per il popolo delle steppe. Così come mi sono astenuto dal fare commenti da virologo in tempo di pandemia, altrettanto non mi addentro in complesse questioni di strategia militare e di geopolitica. Non posso però non registrare l’umore che serpeggia negli ambienti economici, seriamente preoccupati per le conseguenze della guerra.
Mentre i mass media sono allineati alle posizioni belliciste del governo, costretto suo malgrado ad allinearsi a sua volta allo schieramento Nato, il mondo delle imprese ha innalzato, sia pur timidamente, la bandiera arcobaleno dei pacifisti. Nei vari blog in cui si commentano le vicende economiche e finanziarie non si è levata, che io sappia, una sola voce a sostegno dell’invio di armi all’Ucraina. In effetti nel crollo di borsa sono stati coinvolti tutti tranne “Leonardo”, l’impresa che appunto le armi le produce. L’Italia, come è noto, è un paese trasformatore di materie prime, tramite l’industria: l’accesso alle fonti di energia e alle materie prime da lavorare è quindi vitale per tutti noi. L’economia, si sa, prospera in tempo di pace, sin dai tempi dell’imperatore Augusto (si veda l’Ara Pacis), la guerra invece, oltre a produrre lutti e distruzioni, interrompe la produzione e il commercio (tranne quello delle armi, ovviamente). Al di là della drammatica vicenda contingente, che scuote le coscienze, ciò che preoccupa nel lungo periodo è la fine dei rapporti Est-Ovest, il che comporta in buona sostanza la fine della globalizzazione, dopo meno di un trentennio. Oltre alle difficoltà di approvvigionamento di cui sopra, si chiudono mercati per le nostre produzioni e si restringono gli spazi per le esportazioni verso altri paesi occidentali ugualmente colpiti dalla crisi conseguente al ritorno a un clima di guerra fredda (che inevitabilmente seguirà l’attuale guerra “calda”). Già, perché se noi ce la passiamo male, altri non stanno meglio: in Germania, ad esempio, hanno chiuso gli stabilimenti di BMW e Wolkswagen, a causa della difficoltà a procurarsi i cablaggi per le auto, prodotti in Ucraina. Anche a Oxford è cessata la produzione delle Mini per lo stesso motivo. Un rallentamento dell’economia, che stava appena prendendo slancio per la supposta fine della pandemia, in presenza di un’inflazione che in Italia viaggia ormai all’otto per cento, può solo significare recessione. Lo scenario, preoccupante, è quindi quello della stagflazione, che già conoscemmo negli anni Settanta del secolo scorso (i più anziani ricorderanno sicuramente le domeniche a piedi e l’inflazione a due cifre).
La domanda quindi è: crollerà prima la Russia o crollerà la nostra economia, considerato il peso del debito pubblico? Nel frattempo il governo s’è desto e il ministro Cingolani, mentre scrivo, sta rispondendo in Parlamento sulla questione della speculazione sul gas. Alla buon’ora: l’aumento del prezzo del gas è stato spiegato sulle colonne di “Voce” in un bell’articolo pubblicato nel mensile di ottobre, ben prima quindi dello scoppio della guerra che ora fornisce un alibi alla speculazione, iniziata ben prima. Bisognava attendere che chiudessero le ceramiche e le cartiere o che i camionisti bloccassero i Tir per smuovere dall’inerzia il governo. La cosa buffa è che si pensa di tassare gli extraprofitti delle società del settore energetico a favore dello Stato piuttosto di chiedere loro di restituire il maltolto con conguagli sulle bollette. Vedremo quali saranno, in concreto, i provvedimenti assunti per far fronte a un’emergenza che riguarda tutti, cittadini e imprese.