Immigrazione: serve un ripensamento

Dopo i tragici fatti di Bruxelles abbiamo assistito al solito diluvio di inutile retorica che solitamente accompagna questi eventi luttuosi. Arriva però anche qualche timido segnale di ripensamento. Autorevoli politologi e editorialisti, solitamente allineati con le politiche del governo, cominciano finalmente a interrogarsi sul fallimento del multiculturalismo e dei progetti di accoglienza e integrazione. Interrogativi se li pongono anche istituzioni non sospettabili di xenofobia; ad esempio l’Istituto Cervi di Gattatico (Reggio Emilia) ha organizzato a tamburo battente un convegno ad alto livello per discutere di scuola e integrazione. Nella brochure di presentazione è dato leggere: “Anche nella scuola sembrano aumentate la fatica dell’integrazione e l’incertezza sulle vie e i modelli da seguire. Le parole integrazione, intercultura, inclusione devono essere declinate in modo adeguato alle nuove sfide. E’ il momento di fermarsi a riflettere e a ragionare sulle idee che abbiamo condiviso in passato e sulle pratiche e le esperienze di lavoro nella scuola e fuori dalla scuola: dove va l’educazione segnata dalla presenza di multiple cittadinanze – si chiede l’Istituto –? Sono stati fatti errori o passi avanti? E la via dell’intercultura è ancora utile? È ancora possibile tenere insieme integrazione, cioè azioni e misure per i bisogni specifici e per l’inserimento sociale degli alunni stranieri, e intercultura, ovvero azioni e misure per promuovere lo scambio, l’interazione, le occasioni educative per tutti portate dalla diversità delle provenienze e delle culture? E sarà possibile costruire una visione europea dell’educazione sul tema della scuola e dell’integrazione?”. 

Belle domande, che mi auguro troveranno risposte da parte degli esperti. Perché il punto è proprio questo: ci si è illusi che la scuola bastasse a integrare gli immigrati di seconda generazione, ma i fatti accaduti in Francia e in Belgio, nonché la partenza di numerosi giovani volontari dall’Europa per i vari fronti di guerra, a sostegno del califfato islamico, dimostrano con tutta evidenza il contrario. La scuola resta certamente la sede più importante per l’integrazione, ma non riesce a contrastare efficacemente il richiamo esercitato dalle culture identitarie d’origine degli immigrati. A ciò si aggiungano i problemi sociali: i migranti sono attratti dall’Europa, che vedono come il paese del bengodi. Ma presto, nonostante i vantaggi assicurati da un welfare generoso, si accorgono che le loro aspettative non corrispondono alla realtà e, inevitabilmente, accumulano frustrazioni. In particolare i giovani. 

Su questo converrà riflettere attentamente e seriamente. I nostri ministri (Interno, Giustizia), invece di prendere i provvedimenti necessari, si affannano a sostenere l’argomento consolatorio che è inutile presidiare i confini perché tanto i terroristi li abbiamo all’interno dell’Europa. Dimenticano che gli immigrati di oggi, i bambini che ci commuovono con le traversie dei viaggi della speranza, possono trasformarsi, crescendo, nei terroristi di domani. Il più elementare principio di precauzione consiglierebbe di far cessare da subito l’immigrazione clandestina che, di per se stessa, induce a una scarsa considerazione del principio di legalità. Con conseguenze immediate sulla diffusione della microcriminalità ma con conseguenze in prospettiva assai più gravi data l’oggettiva impossibilità da parte delle forze dell’ordine di controllare il territorio. Fanno sorridere le critiche rivolte all’intelligence belga per non aver saputo prevenire gli attentati. Se per disgrazia qualcosa di simile dovesse accadere da noi con ogni probabilità non saremmo nemmeno in grado non dico di prevenire, ma nemmeno di reagire, individuando i responsabili, come invece hanno fatto in Francia e in Belgio. 

Il numero degli immigrati presenti in un dato paese non è un fattore ininfluente in materia di sicurezza: un conto è controllare piccole minoranze, altro pretendere di controllare milioni di individui. Il flusso migratorio pertanto andrebbe immediatamente fermato e, in seguito, sottoposto a rigidi controlli, anche a tutela degli immigrati già sistemati in Italia, che rischiano di essere esposti a reazioni xenofobe pur se incolpevoli. Qualcuno, intanto, spieghi ad Alfano che non è necessaria una nuova legge per prendere le impronte digitali agli immigrati: quando sostenni la vista di leva me le prese un sergente degli alpini, senza tanti complimenti e senza chiedermi se ero d’accordo o meno: afferrò la mia mano, me la mise su un tampone inchiostrato, poi sulla mia scheda personale. Si fa così, sic et simpliciter. Volendo.

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