Incognite del futuro prossimo

Non è mai semplice fare previsioni, ma la congerie di prossimi eventi che si sta addensando rende i pronostici ancor più problematici. Sul piano internazionale tengono banco il petrolio (si registra un nuovo fallimento degli accordi tra paesi produttori per sostenere il prezzo), il referendum per l’uscita della Gran Bretagna dall’Unione europea, le elezioni americane, le pressioni migratorie (e la conseguente crisi dell’area Schengen), la crisi libica, che si aggiunge a tutte quelle che già conosciamo, il riaffacciarsi della crisi greca e il rallentamento generale dell’economia, registrato dal Fondo monetario internazionale. 

Sul piano interno, la revisione al ribasso delle stime della crescita e i prossimi appuntamenti politici (elezioni amministrative e referendum istituzionale) assai problematici per il governo. Già, perché Renzi, astutamente, si è annesso il 68 per cento degli astenuti al referendum sulle trivelle, ma sa bene che non è così. Anzi, il 32 per cento di oppositori alle scelte governative dovrebbe impensierirlo non poco. Facciamo due conti. All’apice del consenso, Renzi ha ottenuto, alle elezioni europee, il 40 per cento del 50 per cento dell’elettorato, ovvero il 20 per cento degli elettori. L’astensionismo, alle ultime regionali, ha toccato il 60 per cento pertanto l’influenza reale del premier sull’esito negativo del referendum parrebbe di molto ridotta (68 meno 60 uguale a 8). Se si considera che i sondaggi danno le intenzioni di voto al 46 per cento per il referendum istituzionale, cui Renzi incautamente ha legato le proprie sorti politiche, i numeri dovrebbero preoccupare circa la tenuta del governo. 

Se infatti alla platea del 46 per cento di votanti si sottrarre il 32 di oppositori (ma saranno certamente molti di più, specialmente se nei mesi estivi arriveranno in Italia centinaia di migliaia di clandestini, come temono gli Austriaci), Renzi risulta fin da ora nettamente minoritario, con il 14 per cento residuo (molto meno del 20 per cento reale delle elezioni europee). 

Naturalmente, se perderà al referendum di ottobre, Renzi non si dimetterà (come ha promesso), né si andrà a nuove elezioni, in assenza della legge elettorale (l’Italicum è inapplicabile in mancanza della riforma del Senato), ma ugualmente ci saranno contraccolpi. Il quadro politico peraltro rimane frammentato e confuso (ad accrescere l’incertezza è sopravvenuta anche la morte di Casaleggio, fondatore del Movimento 5 Stelle) e continuano a non esserci alternative serie al governo Renzi (del che Matteo approfitta, sfruttando la rendita di posizione). Nel dubbio che l’Italia possa finire fuori dall’area euro (o perché si affermino forze politiche contrarie all’euro, come la Lega o i 5 Stelle, o perché Renzi alla fine riesca a far espellere l’Italia dal club euro (per la politica suicida sull’immigrazione o a causa del deficit e del debito pubblico), gli Italiani, quatti quatti, in tempi recenti hanno investito all’estero – legalmente – la bellezza di 180 miliardi di euro. 

Spagnoli e Greci, altrettanto dubbiosi sul destino dei loro paesi, hanno fatto altrettanto, in proporzione. Insomma l’Europa mediterranea sembra credere che un’economia europea a due velocità comporti, prima o poi, l’adozione di due diversi sistemi monetari. Per allora meglio farsi trovare con in mano valute vere (come il dollaro o il franco svizzero), anziché l’euro trasformabile, dalla sera alla mattina in “eurino”, nella migliore delle ipotesi, o in una svalutatissima liretta, se dovessero prevalere le opposizioni. 

Questo il ragionamento che molti, in cuor loro, devono aver fatto negli ultimi tempi. Sfidando anche il rischio di cambio e considerando eventuali piccole perdite sul cambio come il pagamento di una sorta di premio di assicurazione nei confronti del rischio di crac totale della moneta europea. 

Non occorre andare a Panama per investire all’estero: basta andare in banca e acquistare un etf collegato ai Fed Funds (ovvero ai titoli del Tesoro Usa). Il dollaro oscilla da tempo in una fascia compresa tra 1,05 e 1,15, ora quota 1,13, quindi è vicino alla fascia alta, più conveniente per l’acquisto. Se anche dovesse rompere la resistenza a 1,15 e arrivare a 1,20, il costo per gli investitori non sarebbe drammatico. Ma, in compenso, ci si potrebbe scordare dei problemi elencati all’inizio, nonché della Merkel, di Tsipras, di Cameron, di Renzi, di Grillo e di Salvini. Un sistema pratico per mandare tutti quanti a quel paese.

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