La lezione della crisi, Soldi nostri

Non vi è dubbio che la crisi che stiamo attraversando sia la più grave, in tempo di pace, dagli anni Venti del secolo scorso. Molte sono le analogie con il periodo della tristemente famosa Quota Novanta, soprattutto per chi si trova ad affrontare situazioni debitorie insostenibili. Anche allora molti fallirono, mentre le imprese ritenute di rilevanza strategica furono salvate con l’intervento dello Stato. Ciò che viene invocato anche oggi, da ogni parte, dopo anni di fede assoluta nel mercato. Infatti se sul piano dell’assistenza le misure recentemente adottate del governo paiono sufficienti e in grado di coprire le esigenze immediate della popolazione, è evidente che per mettere in sicurezza le imprese, ricapitalizzarle e avviare, quando necessario, processi di riconversione industriale, non bastano certo poche decine di miliardi. Lo Stato dovrà quindi impegnarsi in prima persona ed entrare nel capitale delle imprese, uscendone poi quando il clima si sarà rasserenato, anche se su questo punto è lecito nutrire qualche dubbio, visti i precedenti (dall’Alitalia a Montepaschi). Più problematico pare infatti un impegno maggiore da parte del sistema bancario (ricordate i 400 miliardi promessi da Conte con garanzia dello Stato?) tuttora alle prese con una marea di crediti incagliati. Secondo le stime de Il Sole-24 Ore la crescita dei crediti “problematici” ammonterebbe al 10 per cento del portafoglio delle banche, ovvero a circa 140 miliardi di euro.

L'accesso è riservato agli Abbonati

Se sei già abbonato, accedi per vedere l'articolo completo

Accedi

Accesso completo al sito, più l'
abbonamento digitale annuale

Vi permette di accedere a tutti i contenuti web di VOCE.it e di ricevere la newsletter quotidiana VoceCittà con le notizie del giorno, Voce settimanale digitale e Voce mensile digitale di approfondimento, direttamente al vostro indirizzo mail. Costo Annuo 29€ Abbonati