La ricchezza di carta

L’entusiasmo determinato dal rally delle obbligazioni, verificatosi a fine anno sull’aspettativa di una prossima riduzione dei tassi di interesse, subito ridimensionato all’inizio dell’anno nuovo, non deve farci scordare i rischi connessi alla montagna di debiti su cui si regge l’economia mondiale. La ricchezza di carta potrebbe dimostrarsi illusoria nel caso si verificasse una crisi severa in campo economico o geopolitico. In condizioni normali il debito pare sostenibile, poiché a nessun paese è richiesto di rimborsare all’improvviso la totalità dei prestiti contratti: basta infatti garantire il puntuale pagamento degli interessi che, normalmente, anche in una fase di crescita dei tassi, come abbiamo appena sperimentato, rappresentano pur sempre una frazione del Pil. (segue)

Tuttavia se i tassi dovessero rimanere elevati per un lungo periodo di tempo, gli interessi pagati sulla massa dei debiti accumulati nei periodi caratterizzati da politiche economiche lassiste finirebbero con l’incidere in maniera significativa sul Pil.  Ad esempio il debito pubblico degli USA ha raggiunto la cifra stratosferica di 34.000 miliardi di dollari, ed è aumentato, nell’ultimo anno, di una cifra quasi pari all’intero debito pubblico italiano, che non è propriamente lieve.  Se aggiungiamo i debiti di privati e imprese si direbbe che l’America è sull’orlo del fallimento se non fosse che il signoraggio del dollaro, valuta di scambio internazionale, rappresenta ancora un vantaggio non indifferente (ora però insidiato dai BRICS e nuovi accoliti). I tassi elevati poi garantiscono l’afflusso in America dei capitali necessari per mandare avanti la baracca. In Italia, se non ho interpretato male le tabelle annesse all’articolato della legge di bilancio recentemente approvata (un malloppo di ben 224 pagine, denso di rinvii a leggi di spesa approvate negli anni precedenti, un vero ginepraio), lo Stato avrà bisogno, quest’anno, di reperire almeno 580 miliardi di euro per rinnovare prestiti in scadenza, pagare gli interessi e finanziare il deficit previsto. Deficit che include il famoso taglio delle tasse, interamente finanziato a debito (una vera barzelletta: io, Stato, ti riduco le tasse di un pelo ma, al tempo stesso, ti carico di un fardello di debiti, con relativi interessi, per anni a venire). E siccome siamo ricchi (di debiti), nella legge di bilancio ci sono spese finalizzate agli scopi più vari, come le spese militari, aumentate di un miliardo e mezzo, gli aiuti all’Ucraina, difficilmente decifrabili poiché nell’articolato si fa riferimento a leggi precedenti, reiterate (in una di queste erano così quantificati: 660 milioni per aiuti militari, 310 per aiuti finanziari, 50 per aiuti umanitari, in totale più di un miliardo all’anno). Poi ci sono le spese per l’accoglienza degli stranieri (ogni minore non accompagnato ci costa oltre 100 euro al giorno: li ciberemo a caviale?), per le forze dell’ordine e per i militari, per gli aumenti ai dirigenti della sanità (previsti per gli amministrativi in misura tripla rispetto ai sanitari). (segue)

E qui mi fermo, poiché non ho a disposizione 200 pagine, ma colpisce la differenza tra il reale contenuto della legge, pubblicata sulla «Gazzetta Ufficiale», con i resoconti che leggiamo sui quotidiani o che apprendiamo dai telegiornali, che ci forniscono scarne informazioni solo su alcuni punti e nemmeno su tutte le novità. Ma torniamo al tema della ricchezza di carta, che potrebbe appunto rivelarsi illusoria. Secondo un rapporto del McKinsey Global Institute, dal 2000 persiste uno squilibrio determinato dalla crescita del debito, a livello mondiale, più rapida rispetto a quella del Pil. I prezzi degli asset mobili e immobili (gonfiati dall’inflazione) sono saliti creando 160.000 miliardi di “ricchezza di carta”; a ogni dollaro investito han corrisposto 1,90 dollari di debito. Il declino strutturale dei tassi d’interesse reali ha contribuito a questo processo inflazionistico che ha visto poi lo scoppio di bolle, come nel caso dei mutui sub prime, mentre ora siamo alle prese con lo smaltimento della moneta artificialmente creata con il quantitative easing di draghiana memoria. Insomma da molti anni il cosiddetto Occidente vive al di sopra delle proprie possibilità, per quanto ancora potrà durare? E, date queste premesse, era proprio il caso di prendere di petto la Russia, gettandola nelle braccia della Cina e coalizzando intorno a lei buona parte del resto del mondo? Se al lucro cessante, dovuto all’applicazione delle sanzioni che hanno danneggiato più l’Europa che la Russia, aggiungiamo il danno emergente, conseguente alle ingenti spese per gli aiuti militari all’Ucraina, senza contare gli infiniti lutti e le distruzioni incalcolabili (e la conseguente, futura ricostruzione, il cui costo già sappiamo che sarà a carico nostro), è il caso di chiedersi: ma le due province del Donbass, contese in origine, valevano davvero tutto questo? Non sarebbe stata più opportuna la ricerca di una soluzione diplomatica, volta a garantire l’autonomia dei territori contesi, come già suggerimmo su queste pagine nella primavera del 2022? Col rischio, ora, che la Russia si prenda un territorio ben più vasto, pari, si dice, al venti per cento dell’Ucraina o, se la campagna militare dovesse continuare così, l’intero paese, ormai allo stremo. In ogni caso è tardi, il baricentro, per la Russia, si è spostato a Est, difficilmente, anche se si arriverà alla pace, i rapporti tra Oriente e Occidente saranno ricuciti. La frittata è fatta.