Reddito fisso, perdita certa

Da tempo, e ben prima della pandemia, abbiamo segnalato che l’economia mondiale è uscita dagli schemi del sistema capitalistico “classico” poiché è avvenuta una transizione a un sistema definibile come “debitalistico”: gli stati e le imprese e, in alcune nazioni, anche le famiglie, galleggiano su un mare di debiti, sempre crescenti. Ciò ha comportato una rivoluzione copernicana anche nelle politiche di remunerazione del risparmio: mai nella storia si erano visti tassi a zero o addirittura sotto zero, come nella zona euro. Le autorità monetarie sono state costrette a questa scelta non in odio ai risparmiatori, ma per evitare il fallimento dei soggetti sunnominati (tutti virtualmente falliti, in particolare dopo la crisi dovuta alla pandemia). Abbiamo imboccato una via senza sbocco? Forse no. Le autorità monetarie, pian piano, hanno disvelato la loro strategia per aggiustare i conti: puntare a una inflazione del due per cento annuo, mantenendo i tassi ai livelli attuali (in America i tassi sono più alti, ma l’inflazione viaggia già oltre il cinque per cento, quindi tanto vale). Questo significa che, in definitiva, i costi della crisi e dell’indebitamento pregresso, nonché dell’azzardo morale che ha portato a elargire bonus a destra e a manca, graveranno interamente sulle spalle dei risparmiatori che vedranno falcidiato il potere d’acquisto dei loro soldi. Infatti se questa strategia dovesse protrarsi per un ventennio (tale pare essere l’orizzonte delle attuali politiche) la perdita secca ammonterebbe al quaranta per cento, o forse più, considerati oneri e tasse che gravano sul risparmio.

 

 

Faccio un esempio. I buoni postali, per i primi cinque anni, rendono lo 0,05 per cento lordo (tassato al 12,5 per cento), ma pagano l’imposta di bollo (ovvero la patrimoniale) dello 0,20. Una perdita secca di oltre lo 0,15, che si somma al due per cento di inflazione. L’esempio vale naturalmente per tutto il comparto del reddito fisso, ovvero obbligazioni e titoli di stato (se comprate il Bund tedesco dovete addirittura pagare il tasso negativo, oltre alla patrimoniale!). In passato (penso agli anni Settanta, dopo la crisi petrolifera) abbiamo avuto un’inflazione a due cifre, ma i tassi d’interesse viaggiavano a un ritmo corrispondente e quindi il risparmio era meno penalizzato (non c’erano, poi, le assurde patrimoniali, pudicamente definite “imposte di bollo”, e i guadagni da cedole erano tassati molto meno di oggi). Perché ora i tassi non seguono la crescita dell’inflazione? Molto semplice: poiché i risparmiatori hanno perso ogni potere contrattuale sul “mercato”, essendo svanito il mercato stesso da quando i titoli (non solo pubblici) vengono acquistati direttamente dalla Bce (mentre la banca centrale del Giappone, stampando moneta, acquista addirittura azioni per sostenere artificialmente il mercato). Diverse banche, non paghe di non remunerare i depositi (prassi universalmente adottata da tempo), ormai chiedono addirittura di pagare, per depositare, una cifra equivalente al tasso negativo stabilito dalla Bce. In questo caso però il libero mercato può ancora funzionare: se la vostra banca vi impone queste condizioni, fate come me: cambiate subito banca. Per chi volesse approfondire la conoscenza della base teorica dell’agire delle banche centrali e dei governi può risultare utile la lettura del libro di Stephanie Kelton, Il mito del deficit. La teoria monetaria moderna per un’economia al servizio del popolo, Fazi Editore, 2020. Americana, consigliera economica dell’ala sinistra dei Democratici, è ritenuta la “rockstar dell’economia progressista” e “tra i pensatori più influenti al mondo”, come si legge nel risvolto di copertina. Il volume, di oltre 450 pagine, ruota in sostanza intorno a un unico concetto: il deficit non ha limiti in quanto uno stato sovrano può indebitarsi indefinitamente stampando poi tutta la moneta di cui ha bisogno per onorare il debito, alla sola condizione che l’espansione monetaria non origini una inflazione fuori controllo. Il che è esattamente ciò che sta accadendo pressoché ovunque, per ora. Già, ma fino a quando? Gli esempi del passato (Repubblica di Weimar, ancora oggi lo spettro che terrorizza i Tedeschi) e quelli più recenti (Zimbabwe e Venezuela) non sono molto rassicuranti. Intanto però il soldo gira e aiuta la ripresa dell’economia reale (innegabile, anche in Italia), quindi forse un giorno si potrà tornare alla normalità.