Riformare il reddito di fannullanza

Riformare il reddito di fannullanza

di Richard Bonhomme

Immagino che il senatore Matteo Renzi (lo stesso che, ingenuamente, voleva abolire il Senato) si stia rendendo conto dell’utilità del bicameralismo: se una delle due Camere approva un provvedimento sbagliato, l’altra può porre rimedio, come nel caso del disegno di legge Zan, che richiede qualche aggiustamento (non perché lo chiede il Vaticano, ma perché lo esige il buon senso). Renzi, dopo aver fatto in gioventù il Giamburrasca, da qualche tempo si è ritagliato il ruolo di “meccanico” della Repubblica, ovvero di chi sistema le cose fuori posto. Strumento, più che artefice, della ragion di Stato, si è fatto carico di provocare la crisi di governo che ha portato alla sostituzione di Conte con Draghi (impossibile pensare di lasciare ai grillini la gestione dei fondi europei, occorreva una figura di garanzia a capo dell’Esecutivo). Dopo queste due prove da statista in erba Renzi rilancia con un attacco frontale al reddito di cittadinanza, storica bandiera dei grillini, proponendo un referendum abrogativo. Intendiamoci, da sempre la società si è fatta carico di sovvenire alle esigenze dei poveri, basti leggere, per restare a Carpi, i saggi di Mario Pecoraro e di Lucia Armentano sull’assistenza ai bisognosi nel corso dei secoli. Ma tutti i provvedimenti adottati in passato miravano a ridurre, o quantomeno a contenere, il numero di oziosi e vagabondi, non ad aumentarlo. Il reddito di cittadinanza infatti ha conseguito il risultato di indurre i percipienti a rifiutare il lavoro, anziché cercarlo (risibili i risultati conseguiti dai ben 2 mila 978 cosiddetti navigator, tra i pochi che han trovato una sia pur temporanea occupazione grazie al discusso provvedimento).

 

 

Sono stato facile profeta quando, fin dall’inizio, ho criticato l’utopia grillina. Ora le conseguenze sono sotto gli occhi di tutti: le imprese non trovano la manodopera necessaria (solo in Lombardia ci sono centinaia di migliaia di posti di lavoro scoperti, per non parlare delle imprese che si avvalevano di lavoratori stagionali, nei settori del turismo, della ristorazione e dell’agricoltura), mentre giovani gagliardi e in età da lavoro (almeno un milione, su oltre un milione e mezzo di percettori del sussidio) vivono a scrocco a carico della collettività che, peraltro, finanzia queste graziose elargizioni incrementando il già ingente debito pubblico. Ricordo che all’epoca del varo della legge si portava come esempio la Danimarca, dove esisteva qualcosa di simile al reddito di cittadinanza. Ma, a parte la diversa etica del lavoro, leggermente diversa tra il nostro Meridione e il Nord Europa, bastava guardare una carta geografica per cogliere le differenze. La Danimarca, come l’Italia, è una penisola, ma si protende tra il Baltico e il Mare del Nord, mari freddi, mentre il Bel Paese si allunga nel caldo Mediterraneo. Cosa significa? Che in Danimarca, se decidi di oziare, fatalmente sei destinato ad annoiarti, mentre in Italia se non lavori e godi di un sussidio statale te la puoi spassare allegramente, ad esempio andando al mare, se vivi sulla costa. Il costo della vita poi, notoriamente, è inferiore nell’Italia meridionale, ragion per cui con cifre relativamente basse si può vivere agevolmente. Non a caso il reddito di cittadinanza è concentrato in alcune regioni del Sud: al Nord risulta assai meno conveniente. Occorre ammettere che in tempo di pandemia il reddito di cittadinanza ha costituito un utile ammortizzatore sociale, ma adesso, in vista della ripresa, l’ottica è destinata a mutare. Perché dunque Renzi intende proporre, proprio ora, una sostanziale riforma del reddito di cittadinanza, mirante a separare le politiche di assistenza ai veri poveri dalle politiche attive del lavoro? La risposta è semplice: come farà Draghi a spendere i soldi che arrivano dall’Europa e a rilanciare l’economia se nessuno vuol più andare a lavorare preferendo vivere dei sussidi statali? Basterà il ricorso all’immigrazione o bisognerà riuscire a stanare i giovani oziosi nostrani? L’una e l’altra cosa, probabilmente. Con buona pace dei grillini e delle loro pur generose utopie. Naturalmente non basta eliminare la convenienza a oziare, bisogna investire sulla formazione dei futuri lavoratori: non vi è dubbio che dal mondo delle imprese si chiede con forza una riforma seria delle politiche attive del lavoro. Riforma che non va solo in direzione degli interessi degli imprenditori, ma che corrisponde all’interesse nazionale più in generale, dal momento che l’andazzo precedente avrebbe portato fatalmente l’Italia al fallimento.