Un tulipano virtuale, Soldi nostri

Come tutti sanno, la prima grande bolla speculativa della storia moderna scoppiò nel 1637 in Olanda, quando i prezzi dei bulbi di tulipano, giunti a livelli fuori dalla realtà, cominciarono a sgonfiarsi. Il panico che ne seguì provocò la rovina di molti. Nonostante questo, celeberrimo, e altri numerosi esempi nella storia, c’è sempre chi entra sui massimi alla vigilia dello scoppio di una bolla speculativa. È ciò che è accaduto agli incauti che hanno acquistato Bitcoin a quota 64 mila dollari, un attimo prima che il prezzo crollasse, in pochi giorni, del cinquanta per cento. Il Bitcoin è un asset scambiato al di fuori di mercati regolamentati, quindi il rischio, già in partenza, è elevatissimo (anche di truffe, a prescindere dall’andamento altalenante delle quotazioni).

 

C’è da chiedersi perché le autorità monetarie non intervengano con decisione per porre fine alla circolazione delle criptovalute, ormai numerosissime. Gli stati, infatti, e le loro autorità monetarie, sono sempre stati gelosi del privilegio di battere moneta (il cosiddetto signoraggio) e in ogni tempo e luogo hanno perseguito chi invadeva il loro ambito esclusivo. La benigna negligenza dimostrata dai regimi democratici (Cina e Iran infatti hanno già preso severe misure atte a limitare il fenomeno) induce a sospettare che le criptovalute siano in certo qual modo funzionali al sistema. Poiché, oggettivamente, servono a nulla (salvo che a nascondere i proventi di traffici illeciti) e non sono rappresentative di beni reali (ovvero valgono assai meno di un bulbo di tulipano) quale ruolo effettivo svolgono oltre a quello puramente speculativo? Se consideriamo la notevole quantità di energia necessaria per creare le criptovalute e mantenere in vita il sistema di scambi delle medesime, in decisa controtendenza rispetto ai programmi green che vengono annunciati nei summit internazionali, è lecito chiedersi perché non si adottino misure drastiche. Si pensi solo ai provvedimenti volti a limitare la circolazione del contante, alcuni discutibili, come la lotteria degli scontrini: possibile che nessuno pensi di contrastare le criptovalute? La sola spiegazione ipotizzabile, forse un poco cinica, è che tutto sommato ai governi fa comodo che ci siano legioni di polli che “investono” su questi circuiti pagando valuta sonante (dollari, euro, yen, yuan) per acquistare valute “virtuali”, ovvero il nulla. Togliendo così dalla circolazione la liquidità in eccesso creata dalle stesse autorità monetarie con le loro politiche espansive. C’è gente che dispone di abbondante liquidità e non sa più dove investirla, nell’era dei tassi a zero o sotto zero, ed è quindi un bene che la “congeli” nei wallet dove sono conservate le criptovalute. Ciò contribuisce a ridurre gli effetti inflazionistici delle politiche monetarie espansive e al mantenimento di una bassa volatilità su tutti gli altri asset (azionario, obbligazionario, materie prime). Pensate se la liquidità che è affluita su centinaia di criptovalute si fosse riversata sui prezzi del rame o dell’oro (materie prime che hanno anche usi industriali): altro che bolla dei tulipani! Oltretutto il Bitcoin ha attratto come una calamita, distogliendoli dalla speculazione su altri asset, i trader che in effetti, nell’arco della giornata, possono realizzare buoni guadagni sia quando il prezzo sale che quando scende. Dopo il crollo infatti il Bitcoin staziona in un trading range laterale il cui andamento è perfettamente conforme alle indicazioni dell’analisi tecnica. Così i trader, con la loro operatività di breve, lucrano alle spalle degli ingenui che dimostrano un atteggiamento fideistico nei confronti della “moneta del popolo” in attesa che raggiunga la mitica quotazione di 100.000 dollari (o un milione, non fa differenza). C’è anche un altro aspetto da valutare: i Bitcoin e consimili spesso non si acquistano direttamente con le monete tradizionali bensì tramite l’utilizzo di “stablecoin” come, ad esempio, il Tether. Queste “stablecoin”, acquistate sborsando valute a corso legale, dovrebbero essere garantite da un corrispondente valore in dollari. Ora si viene a sapere che solo il 2,9% di Tether è garantito da dollari veri e propri, mentre la rimanente cifra è rappresentata da “security loans”, “fiduciary deposit” e “commercial paper”. Garantiti, questi ultimi, da chi? Insomma si avverte nell’aria un clima che ricorda l’era dei mutui sub prime (ricordate l’ultima grande crisi finanziaria?). Probabilmente questa volta però non sarà travolta l’economia reale ma solo gli avidi speculatori, amanti del rischio. La storia ci dirà se la mia impressione sia fondata o meno.