La lingua in trincea

Per celebrare il centenario della Grande Guerra il Lions club Modena Estense ha pubblicato una raccolta di memorie. La ricostruzione storica inizia dal 24 maggio 1915 quando l’Italia entrò nel conflitto per conquistare i territori del Trentino, del Friuli e di Trieste che erano sotto il dominio austro-ungarico. Nel lungo racconto sono descritti tre anni e mezzo di massacri, di epidemie e di tradimenti. Però non mancano vicende singolari come quella che ebbe per protagonista un frate cappellano militare: padre Pio. Dopo la disfatta di Caporetto, il comando dell’esercito italiano fu tolto al generale Cadorna e affidato al generale Diaz. Depresso e umiliato, Cadorna meditò il suicidio. Padre Pio riuscì a dissuaderlo con un miracoloso messaggio trasmesso da notevole distanza. Interessante è anche il glossario del gergo di trincea. La parola araba ghirba indica l’otre di pelle di capra. Per i soldati salvare la ghirba significava portare a casa la pelle. Naja deriva dal dialetto istriano e significa gentaccia chiamata alle armi. Con la parola “tirapiedi” si indicava l’aiutante del boia che tirava per i piedi l’impiccato. “Le scarpe al sole” indicava un soldato morto, disteso sul terreno dopo tanto tempo trascorso al buio in trincea. Ecco perché il giornalista modenese Paolo Monelli intitolò “Le scarpe al sole” le sue cronache su vicende di alpini, di muli e di vino. 

 
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