L'orgoglio femminile nei versi di Alfonsina Storni, Angolo di Poesia

Che direbbe?

 

Che direbbe la gente, vuota d’ogni follia,

Se in un giorno fortuito, per ultrafantasia,

Mi tingessi i capelli di viola e d’argento,

Mettessi un peplo greco e coi capelli al vento,

Con un serto di fiori, myosotis o gelsomini,

Cantassi per le strade al suono dei violini,

O dicessi i miei versi correndo per le piazze,

Con il mio gusto libero da volgari corazze?

Affollando le strade verrebbero a guardarmi?

Come una fattucchiera verrebbero a bruciarmi?

Campane suonerebbero per richiamare a messa?

A ridere, pensandoci, da sola mi son messa

(Trad. P. Allegrini)

 

Alfonsina Storni riderebbe oggi? Forse! A bocca stupita e divertita nel vedere i capelli delle fate turchine o fuxia o verdi che compaiono senza che nessuno suoni le campane e ne sarebbe anche contenta.A poco più di ottant’anni dalla sua morte, però, potrebbe rammaricarsi e indignarsi con noi delle troppo numerose donne assassinate da mariti, compagni, morosi ancora ragazzini che non si rassegnano alla libertà della femmina di decidere di se stessa e di lasciarli.

 

“Tu me quieres blanca” (Tu mi vuoi bianca)

 

Tu mi vuoi alba,

Mi vuoi di spuma,

Mi vuoi di madreperla,

Che sia giglio,

Fra tutte, casta

Di profumo tenue,

Corolla richiusa

     Né un raggio di luna,

Mi abbia trafitto

Né una margherita

Si dica mia sorella.

Tu mi vuoi nivea,

Tu mi vuoi bianca,

Tu mi vuoi alba.

     Tu che tenesti tutti

I calici in mano,

Di frutta e miele,

Le labbra violacee.

Tu che nel banchetto

Coperto di pampini

Lasciasti che le carni

Festeggiassero Bacco,

Tu che nei giardini

Neri dell’inganno

Vestito di rosso

Corresti verso la distruzione.

     Tu che conservi

lo scheletro intatto

ancora non so

per quale miracolo,

Mi pretendi bianca

(Dio ti perdoni),

Mi pretendi casta

(Dio ti perdoni),

Mi pretendi alba !

     Rifugiati nei boschi,

Vai alla montagna;

Pulisciti la bocca;

Vivi nelle capanne;

Tocca con le mani

La terra umida;

Sostenta il corpo

Con radice amara;

Bevi dalle rocce;

Dormi sulla brina;

Rinnova i tessuti

Con acqua e salnitro;

Parla con gli uccelli

Ed alzati all’alba

E quando le membra

Ti siano tornate pure

E quando avrai posto

In esse l’anima

Che tra le alcove

E’ rimasta impigliata,

Allora, buon uomo,

Pretendimi bianca,

Pretendimi nivea,

Pretendimi casta.

(trad. F. Guerrini)

 

Scriveva in Spagnolo Alfonsina Storni, ormai era la sua lingua, ma era nata in Canton Ticino, nel 1892 e faceva parte della schiera infinita di emigrati in Argentina, a quattro anni, durissima vita. Muore il padre nel 1900 e lei comincia a lavorare come sarta, come operaia, come attrice e in quell’occasione ha modo di conoscere e appassionarsi agli autori di teatro e alla scrittura. Studia e si diploma nel 1910 e va a insegnare in una scuola di provincia. Non ha ancora vent’anni e resta incinta, si tiene il figlio e non rivelerà mai chi è il padre di Alejandro; per allevarlo, si trasferisce a Buenos Aires. Qui pubblica i suoi primi versi: scrivere, dice, è ciò che dà senso alle sue giornate e che più la appaga, che le permette di esprimere la necessità vitale di indipendenza, il suo orgoglio femminile che non si piega agli stereotipi, alle imposizioni sociali maschili, e anche di cantare l’amore e di come lo vive.

Due Parole

 

Questa notte all’orecchio m’hai detto due parole

comuni.Due parole stanche d’essere dette. Parole

così vecchie da essere nuove.

Parole così dolci che la luna che andava

trapelando dai rami mi si fermò alla bocca. Così dolci parole

che una formica passa sul mio collo e non oso muovermi per

cacciarla.

Così dolci parole che, senza voler, dico: “Com’è bella la vita!”

Così dolci e miti che il mio corpo è asperso di oli profumati.

Così dolci e belle che, nervose, le dita si levano al cielo

sforbiciando.

Oh, le dita vorrebbero recidere stelle.

(trad. Zanon Dal Bo)

 

Raggiunge una certa notorietà fra il 1920 e il 1925, con raccolte poetiche dove compaiono osservazioni e suggestioni della città e dei suoi abitanti che Alfonsina amava osservare con occhio acuto e spregiudicato. Conosciuta e amata dal pubblico popolare, molte sue poesie vengono pubblicate anche sui libri di scuola e imparate a memoria.

 

Un ricordo

 

Ricordo il dolce tempo delle sierre cordovane

Trascorso con l’anima libera dall’ attesa

Vagando fra le macchie di menta e di genziane

I cieli smaglianti, giorni senza sorpresa.

 

Oh il folto biancospino dal voluttuoso odore!

Di notte nelle amache in gruppi familiari

Guardavamo gli immensi grappoli stellari

Suonava dentro un tango e si parlava d amore.

 

Eravamo tutti giovani e molti erano belli

Le sierre simulavano gobbe di cammelli

E ai loro lati, a braccetto , su un sentiero abituale

 

Tornavamo cantando al cader della sera

In una sola fila, ed era primavera.

S’ affacciava a guardarci il disco della luna.

 

In una poesia famosa sta il suo commiato dalla vita “ Voy a dormir “. È molto bella e ha ispirato la canzone “Alfonsina y El mar” che si può trovare e ascoltare su You Tube interpretata da vari artisti: Mercedes Sosa, Antonella Ruggero, Eugenio Bennato (la mia preferita).