Mio fratello Odoardo
Una biografia di Focherini
Pubblicato per la prima volta nel 1948 dalla tipografia del quotidiano cattolico L’Avvenire d’Italia, questo libro racconta in prima persona la vicenda del giornalista Giacomo Lampronti. Di origine ebraica, nacque a Venezia nel settembre del 1903, dopo di che visse in diverse città, tra Veneto e Friuli Venezia Giulia. Spontaneamente convertito al cattolicesimo, ma sempre più colpito dalle leggi razziali fasciste a causa delle quali venne licenziato, nel marzo 1941 Lampronti chiese e trovò aiuto presso L’Avvenire d’Italia, che aveva sede a Bologna e per il quale svolse l’attività di redattore. Qui incontrò Odoardo Focherini, che lo ospitò di nascosto nella sua casa a Carpi assieme alla famiglia e ne organizzò – grazie anche all’aiuto di Mamma Nina – la fuga in Svizzera, verso la quale vennero guidati da don Dante Sala e dove rimase poco meno di due anni. Tornò in Italia sano e salvo, mentre i genitori morirono ad Auschwitz. Nelle pagine del suo libro, Lampronti traccia una biografia sentimentale, oltre che temporale, di Odoardo Focherini: sono pagine di ricordi vivi e brucianti, quelle che l’autore ci consegna, ricordi e aneddoti leggendo i quali si sente fremere l’urgenza di mettere tutto nero su bianco per non dimenticare un attimo di quello che è stato. Francesco Manicardi e Maria Peri, curatori del volume, parlano di un’amicizia “che già sapeva di paradiso”. Mai espressione fu più calzante. Lampronti rivive e ci racconta la giovinezza del Beato: gli anni degli studi e della frequentazione dell’Azione Cattolica, il matrimonio con Maria Marchesi, il lavoro di giornalista. E poi, ancora e necessariamente, quanto fece per salvare gli oppressi. “Bisognava salvarli – scrive Lampronti –. Ed ecco Focherini procurar loro asilo in case religiose, munirli di falsi documenti, travestirli nei modi più impensati, ottenere per loro salvacondotti che li ponessero al sicuro oltre frontiera”. Tutto questo fece Odoardo e molto più, fino a quando l’11 marzo 1944 venne prelevato dall’ospedale Ramazzini di Carpi, dove stava organizzando la fuga di Enrico Donati, e portato nel carcere di Bologna, vittima delle delazioni di chi lo aveva inviso. Lampronti è testimone dei mesi di prigionia dell’amico. Riporta con un dolore le ultime lettere che Focherini indirizzò all’amata moglie Maria fino al giorno in cui la sua penna tacque per sempre.
“Se tu avessi visto come ho visto io in carcere cosa fanno patire agli ebrei, non rimpiangeresti se non di non aver fatto abbastanza per loro, se non di non averne salvati in numero maggiore”.
Torna la Lambruschina e un libro ne racconta la storia travagliata
È un ritorno annunciato nientemeno che da un libro, quello della Lambruschina, l’home restaurant ricavato da un rustico nella campagna di Rovereto da Gigi Filiberti con l’aiuto di tutta la famiglia. L’evento non poteva che coincidere con la possibilità, dal 26 aprile, di riaprire le attività di ristorazione almeno nell’orario meridiano, per gli esercizi che dispongono di spazi all’aperto. E se c’è una cosa che non difetta, nel piccolo casale adattato a ristorante familiare al civico 12 di via Motta, è proprio la possibilità di pranzare sotto l’ampia tettoia e nei prati all’intorno. L’evento, Filiberti lo ha annunciato a modo suo. Rimettendo cioè in moto una vena narrativa legata ai ricordi familiari come alla sua riconosciuta vocazione per la buona tavola che gli ha consentito di collezionare finora una dozzina di pubblicazioni: alcune a sfondo biografico, che ricostruiscono per lo più la Carpi miracolata dal tessile della quale è stato lui stesso un protagonista; altre specialistiche e orientate alle ricette e alla cucina, la vocazione più autentica dell’autore. L’ultima, dal titolo “La Lambruschina. Storia e ricordi di una piccola casa diventata home restaurant” (Carpi, 2021, 180 pagine) fonde i due approcci. E affida la parte strettamente gastronomica, con le specialità della casa, a un ricco apparato fotografico, mentre la narrazione è tutta imperniata sul lungo e accidentato percorso – dall’acquisto alle ristrutturazioni, dall’abbandono dell’originario uso agricolo all’inagibilità e al rifacimento post sisma – che dal 1969 a oggi ha fatto della Lambruschina un tranquillo angolo di campagna e un approdo per il mangiar bene. Dove la famiglia Filiberti, con ai fornelli il capostipite Gigi, riconosciuto chef autodidatta, le figlie alla comunicazione e ai servizi di sala e la moglie all’amministrazione dà il meglio di sé per avventori che sono prima di tutto ospiti.