Asini che volano, Micromega giugno 2021

In principio fu Alberto Angela. Per la precisione: all’inizio-inizio le immagini di archivio della prima metà del Novecento ci restituiscono le ampie gesticolazioni di tribuni, infiammatori di folle, dittatori tarantolati, avvezzi ad accompagnare i (rari) concetti e le (frequenti) parole d’ordine con movenze, faccette, pugni ora serrati ora dischiusi, a uso e consumo di adunate, almeno all’apparenza, deliranti. Ma quella è archeologia, preistoria, rispetto alla cultura televisiva e telematica nella quale campeggia, appunto, come precursore e capostipite della manualità applicata all’eloquio, il principe (lo dico con reale stima) della divulgazione culturale e scientifica contemporanea, l’Alberto figlio di Piero. Quella che appariva, e appare, in Angela junior, una idiosincrasia da comunicatore di prima serata, con la serrata e compulsiva gesticolazione a corredo e complemento degli spiegoni sulle abitudini igieniche degli antichi romani o sul comportamento dei neutroni durante la fissione nucleare, è però diventata, dopo di lui e a imitazione di lui, una mezza piaga nazionale. Per cui oggi non esiste youtuber o intrattenitore culturale che si risparmi, mentre parla e cerca di affabulare, dal disegnare immaginarie traiettorie paraboliche con le mani o dall’esplorare tutte le gradazioni possibili della mimica facciale umana. L’effetto, nella stragrande maggioranza dei casi, è ovviamente lontano dal raggiungere i risultati, anche solo in termini di fascinazione presso la platea femminile, del prototipo. Più che ad Alberto Angela i sedicenti epigoni finiscono per assomigliare alla indimenticata imitazione che ne fece, qualche anno fa, Neri Marcorè. E invece che svolgere una funzione rafforzativa del concetto, le loro vertiginose movimentazioni del capo e degli arti superiori producono nello spettatore irreversibili distrazioni, nonché, a seguire, una sorta di compassione pirandelliana per la drammatica contraddizione fra quello che gli aspiranti comunicatori credono di essere (degli oratori molto fighi e molto efficaci) e ciò che, in effetti, tristemente, sono.

Al netto delle facili facezie, però - e ricordando che, anche, se non soprattutto, in materia di stranezze e ridicolaggini oratorie chi è senza peccato deve scagliare la prima pietra - rimangono dubbi e curiosità sul perché, negli ultimi anni, con un’accelerazione vertiginosa e incontrollata, tutti gli elocutori pubblici, per diletto o per lavoro, dal conferenziere all’insegnante, dal motivatore al predicatore, si siano trasformati in performer, più attenti al come che al cosa dire, e frequentemente adusi a pose ieratiche stile Laurence Olivier, anche se e quando devono parlare dell’attrazione dei felini per l’erba gatta.

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