La soglia degli ottanta e lo svampirsi delle facoltà

Temevo peggio, le volte che me lo figuravo in passato, questo approssimarsi all’ottantesimo anno di età, la preoccupazione trascorreva dall’inevitabile declino fisico al timore di uno svampirsi mucido delle facoltà cognitive e, ancor peggio, di quelle immaginative e fantasticanti.

Ma paventavo soprattutto la perdita della memoria.

La vecchiezza, pensavo, mi avrebbe consentito di meditare sul senso, sul valore dei fatti, delle situazioni in cui mi ero via via trovato coinvolto.

Cominciai questo viaggio mentale a ritroso e subito mi accorsi che le ricordanze mi portavano assai lontano: fin dai primi anni di vita.

Immediatamente incappai in una mia disubbidienza di quando avevo non più di tre- quattro anni (forse fu la prima disubbidienza in assoluto). Nonne, zie e prozie mi avevano condotto al capezzale della bisnonna Gigia, diminutivo di Maria Luigia, che stava morendo, imponendomi di darle un bacio d’addio. Mi rifiutai schifato dal tremolante sudore che sfigurava il volto di quell’ava e mi raggomitolai sotto il letto.

Fu una trasgressione considerata assai grave: mi fu rinfacciata per molti anni.

Ma io credetti di comprendere piuttosto che si volesse commettere un abuso su di un minore non in grado di giustificarsi.

***

Le scuole  elementari vivevano sul prestigio, spesso meritato, dei singoli maestri, di alcuni dei quali si conserva una memoria mista di simpatia e di gratitudine. Ma personalmente provo ancora un moto di disgusto ripensando a quello che mi disse l’insegnante di Quinta elementare quando lo informai che avrei proseguito gli studi alla scuola media anziché alle professionali: “La media prevede che si vada in seguito ai licei e poi all’università… è un itinerario costoso: sei proprio sicuro che tuo padre, un semplice operaio, sia in grado di sostenerne le spese?”.

 

 

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