Il ritorno dei Na Isna, la band carpigiana che è stata candidata al premio Tenco

di Elisa Paltrinieri

Un album profetico, il loro. L’ultimo lavoro del gruppo carpigiano dei Na Isna si intitola “Taklimakan” come il grande deserto sabbioso cinese, quello da cui non si torna indietro, come lo definì il geografo e viaggiatore Eugenio Turri. «L’ispirazione è nata prima dell’inizio della pandemia – spiega il cantante Marco Lodi - , poi tanti pensieri che avevamo si sono accelerati. Tutto ruota attorno al concetto di solitudine in una società che è molto cambiata». A ispirare il mood di questo concept album sono stati diversi libri che descrivono scenari in cui l’umanità è rarefatta. «Ammetto di essere autore di qualche furto – racconta Marco – , i testi delle canzoni risentono delle mie letture: oltre che con gli scritti sul paesaggio di Turri, Zanzotto e Gadda, ad esempio, sono in debito con de Saint-Exupery e Volodine per alcune loro opere ambientate nel deserto o in scenari post-apocalittici». Temi e atmosfere su cui Marco Lodi, Luca Torreggiani, Enrico Pasini, Enrico Mescoli e Claudio Cilloni hanno riflettuto a lungo, infatti sono passati sette anni da quando la formazione carpigiana fece uscire nel 2014 l’album d’esordio “Un dio furioso” che li aveva visti come candidati al premio Targa Tenco nella sezione “Opera prima di cantautore”. 

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