Com'era verde il mio distretto (tessile) -2

Perché il bio non ha sfondato nel tessile come è accaduto in altri settori? Intervistato, Federico Poletti (Staff Jersey e Tessitura Florida) risponde: la sensibilità c'è, ma le richieste arrivano solo da piccole realtà. Qualche segnale positivo

Se avete letto la prima parte di questa storia nel primo numero di Voce mensile, sapete che in anni nei quali probabilmente Greta Thunberg non andava manco ancora a scuola, qualcuno si preoccupava non solo di parlare di sostenibilità ambientale, ma provava anche a metterne un po’, in uno dei settori industriali responsabili di una serie di impatti ambientali non di poco conto, dalla produzione delle fibre, al capo finito, per non parlare dello smaltimento di tonnellate e tonnellate di abiti, dalla vita sempre più breve e ci si chiedeva come mai, questa intuizione e la dimostrata capacità di realizzazione, non avessero trovato il modo di incontrare quella fetta di consumatori, sempre più vasta, attenta a questo tipo di tematiche e che ha costituito la fortuna del bio in settori come l’alimentare e la cosmesi. Abbiamo provato a girare questa e altre domande a Federico Poletti, titolare di Staff Jersey e Tessitura Florida (una delle prime aziende carpigiane a certificarsi per il tessile biologico con lo standard GOTS), e che fu uno dei promotori del consorzio VIS – Vestire in Salute, più di una dozzina di anni fa. Difficile sintetizzare la chiacchierata di quasi un’ora, ma ci proviamo.

Innanzi tutto ti chiedo qual è la situazione oggi delle produzioni certificate per sostenibilità nel territorio carpigiano? «A livello di tessile bio, si fa molta fatica. Riceviamo tantissime richieste da parte di piccole realtà molto motivate nel settore bio, ma che non giustificano quantitativi minimi per coprire i costi di filiera tra finissaggi tinture e confezione. Le grandi aziende si sono abituate a prendere prodotti già confezionati all’estero e non sembrano interessati alla promozione di contenuti di “filiera”, eppure una sensibilità diffusa sull’argomento c’è. Anche un’esperienza come quella promossa dall’associazione Carpi 2030 nelle scorse settimane sull’economia circolare e sulle produzioni tessili sostenibili, indica che ci sono “forze giovani” interessate all’argomento e che potrebbero portare una visione nuova nel settore. Fatto sta che al momento, per quanto riguarda la mia impresa, paradossalmente, il principale, se non unico, cliente costante che richiede tessuto certificato biologico, è un’azienda che produce abbigliamento per cani e gatti ed ha sviluppato una linea ipoallergenica, utile soprattutto per coprire gli animali in casi di fasciature post operatorie»

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